Celiachia e contaminazione

Altolà al glutine!

Come evitare le contaminazioni delle pentole con il glutine, negli ambienti in cui si preparano piatti “con” e piatti “senza”?
Servono ordine, organizzazione, pulizia e abitudini virtuose che entrino a far parte del rituale quotidiano della cucina e diventino gesti automatici.

LE BASI DELLA SICUREZZA
«Il primo consiglio è di preparare prima i piatti gluten free e poi quelli con il glutine. Quando iniziate a cucinare, è necessario pulire perfettamente la superficie di lavoro, per eliminare ogni traccia di ingredienti pericolosi. Per questa operazione, di solito adopero un raschietto, o una spatola di metallo, che passo sulla superficie del mio piano di lavoro (non immaginerete mai quante bricioline si raccolgono!). Ovviamente spugnette, strofinacci e grembiuli devono essere pulitissimi.

Uso diversi taglieri in plastica di vario colore: uno per le verdure, uno per la carne, uno per il pesce, uno dedicato al pane e agli ingredienti con il glutine, e uno solo per il gluten free. Per tagliare, potete utilizzare coltelli di qualsiasi tipo, purché perfettamente puliti.

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LEGNO E PLASTICA
Dai materiali porosi è difficile eliminare le tracce di glutine, quindi usate utensili di legno e plastica solo ed esclusivamente per il gluten free, contrassegnandoli con etichette,oppure utilizzate quelli in metallo. Io impiego spatole e mestoli di legno solo per la cucina senza glutine: li tengo in un contenitore separato e li ho contrassegnati con una striscia di scotch rosso sul manico per distinguerli rapidamente.

Leggi anche: Che cos’è il glutine? 

PENTOLE, COLINI E ROBOT
Vi basterà un’unica batteria di pentole, purché usiate sempre tegami puliti (la lavastoviglie è un’ottima alleata). Il coccio, che esalta i sapori di tanti piatti naturalmente senza glutine, come sughi densi, zuppe di legumi e spezzatini, poiché poroso, è meglio destinarlo solo ai piatti senza glutine, o avere più contenitori di questo materiale.

Tenete grattugie, colini e setacci dedicati al “senza”, visto che costano poco e non è facile lavarli bene. La planetaria e i robot da cucina non creano problemi di contaminazione, purché ne puliate alla perfezione tutti i componenti, meglio se in lavastoviglie.

evidenza

E ORA… PASTA!
Se volete impastare pane o pasta, potete usare il vostro piano di lavoro, a meno che non sia di legno. In tal caso, dedicate una spianatoia al senza glutine.

Per fare la pasta in casa, conviene stendere la sfoglia con un matterello o con una macchinetta, entrambi da usare solo per il gluten free, dato che è difficilissimo, se non impossibile, eliminare i residui da questi utensili. Una piccola stendipasta costa relativamente poco, non è molto ingombrante e la pasta fatta in casa è buonissima e più veloce da preparare di quello che si pensi. Insomma, vale la pena avere una stendipasta in casa!

Adoperate due pentole diverse per far bollire l’acqua della pasta e due distinti scolapasta (se ne avete uno solo, che deve essere rigorosamente di acciaio, prima scolate quella senza glutine e poi quella con). Io ho un piccolo “kit pasta” composto da una pentolina di alluminio, un piccolo scolapasta di acciaio e un mestolo di legno dedicato a questo alimento: è impossibile che la mia pasta possa essere contaminata! Condite la pasta con e senza glutine separatamente, in due ciotole diverse.

arancinette con carciofi e pancetta

FRIGGERE E GRIGLIARE
È importante non usare lo stesso olio per cibi fritti e impanati, sia in una pentola comune, che in una friggitrice. Versate dunque nell’olio caldo prima gli alimenti senza glutine e poi gli altri.

Se volete grigliare pietanze infarinate, come per esempio i pesci, usate l’amido di mais o la farina senza glutine per tutti i commensali: nessuno si accorgerà della differenza e vi semplificherete la vita! In caso contrario, come per i fritti, cucinate prima i piatti senza glutine e poi quelli “con”.

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NON DIMENTICHIAMOCI DI…
Evitate di usare tostapane, che difficilmente si riesce a pulire bene, e abbrustolite il pane senza glutine su una griglia (io ne ho una piccola da campeggio e funziona benissimo). Se preferite il tostapane, usatene uno nuovo solo per il senza glutine.

Nel forno, se volete cuocere insieme preparazioni con e senza glutine, è raccomandabile mettere nella parte alta quelle senza, coperte da un foglio di alluminio, e in basso le altre.

Le teglie per le torte vanno foderate e ben lavate, specialmente quelle quadrate e rettangolari (tipo quelle da plumcake), che negli angoli sono difficili da pulire; perciò possiedo stampi di questo tipo dedicati al senza glutine.

Attenzione al sale che si potrebbe contaminare se ne prendete una manciata da aggiungere a un piatto gluten free dopo aver toccato con le mani preparazioni glutinose. Per questo ingrediente uso sempre un cucchiaio, o un cucchiaino nel caso del sale fino, e non tocco più il sale».

Fonte: «Contaminazioni? No, grazie», a cura di Simonetta Nepi, Free n. 3, maggio 2015.

La curiosa storia della carbonara

La vera origine degli Spaghetti alla Carbonara

La curiosa storia della carbonara (fra miti e realtà).
3 aprile 2019

È la ricetta di pasta più amata in Italia e nel mondo. E anche la più discussa quando si parla di origine e ingredienti. In vista del #carbonaraday, il prossimo 6 aprile, abbiamo cercato di fare luce su questo piatto di culto, scoprendo che…

Alzi la mano chi non ama la carbonara e chi non ha partecipato, o quantomeno assistito, a scambi di opinioni più o meno accesi intorno a questo delizioso primo piatto. Che è tanto amato, quanto sono poco chiare le sue origini, spesso figlie di storie suggestive create per togliere ogni dubbio sull’italianità di questa ricetta.
Cerchiamo quindi di fare chiarezza, per quanto possibile e con la massima cautela.
Molte leggende sulla Carbonara nascono, in realtà, per darne una giustificazione al nome. Così, per alcuni è il piatto che gli iscritti alla carboneria mangiavano durante le loro riunioni segrete, oppure il tipico pasto dei carbonai dell’Appennino, o la fortunata invenzione di un cuoco di Carbonia che lavorava a Roma. E c’è anche chi ritiene che il nome derivi semplicemente dall’abbondante macinata di pepe che guarnisce obbligatoriamente questo piatto.
Nome a parte, alcuni considerano la carbonara come l’evoluzione della pasta “Cace ‘e ova” citata nel 1837 da Ippolito Cavalcanti nel suo famoso trattato “Cucina teorico-pratica” (peccato però che si tratti di una antica ricetta napoletana, già presente nel “Cuoco Galante” di Vincenzo Corrado stampato nel 1773, che non prevedeva né guanciale, né pancetta e dove l’uovo doveva essere molto ben cotto).
Insomma, tante ipotesi magari verosimili, ma non verificabili.
Quel che è certo, è che il nome di “pasta alla Carbonara” inizia a circolare, a partire dal Lazio, alla fine degli anni ’40. E la sua prima citazione ufficiale nei media si trova nel film “Cameriera bella presenza offresi…”, una commedia diretta nel 1951 dal regista Giorgio Pàstina e interpretata da Elsa Merlini che, nella pellicola, si sente chiedere dal suo datore di lavoro la strana domanda: «ma lei sa fare gli spaghetti alla carbonara?» (e, a dimostrazione di quanto fosse ancora poco popolare la ricetta, nel film la cameriera non la conosce).
Questo, secondo esperti come Marco Guarnaschelli Gotti (curatore della Grande Enciclopedia della Gastronomia), accredita l’ipotesi che la ricetta sia nata sì in Lazio, ma per mano dei soldati americani nelle trincee della seconda guerra mondiale: in guerra, si sa, per mangiare ci si arrangia con quel che c’è, e così è verosimile che la “razione K” in dotazione alle truppe USA (bacon e uova in polvere) abbia finito per incontrarsi con la pasta italiana.
Questo “incontro” però potrebbe essere avvenuto più distante da Roma di quanto si creda. Ne parla Luca Cesari su “Gambero Rosso” citando il racconto, mai smentito, del cuoco bolognese Roberto Gualandi, che fu ingaggiato il 22 settembre 1944 per preparare un pranzo in occasione dell’incontro tra l’Ottava Armata inglese e la Quinta Armata americana a Riccione, appena liberata dagli alleati.
Di quel pranzo, il cuoco raccontò: «Gli americani avevano del bacon fantastico, della crema di latte buonissima, del formaggio e della polvere di rosso d’uovo. Misi tutto insieme e servii a cena questa pasta ai generali e agli ufficiali. All’ultimo momento decisi di mettere del pepe nero che sprigionò un ottimo sapore. Li cucinai abbastanza “bavosetti” e furono conquistati dalla pasta».
Gualandi, va detto, da quel momento diventò il cuoco delle truppe alleate a Roma fino all’aprile del 1945 e potrebbe essere questa circostanza a spiegare la diffusione nella capitale di questa sua ricetta destinata a diventare celebre in tutto il mondo.
In ogni caso, il certo ruolo degli USA nella nascita della Carbonara sembrerebbe suffragato da un fatto che, per gli storici della cucina, è estremamente rilevante. Se infatti la prima fonte per verificare l’origine e la datazione di un piatto è costituita dalla consultazione cronologica dei ricettari, va detto che la prima ricetta della Carbonara è stata pubblicata a Chicago nel 1952 da Patricia Bronté, nella guida “What’s cooking on Chicago’s Near North Side”. L’autrice ne riporta infatti una ricetta precisa, del tutto simile a quella odierna, nelle sua recensione di un ristorante, comunque italiano, chiamato “Armando’s”. In Italia la prima ricetta appare nell’agosto del 1954 sulla rivista “La Cucina Italiana”, ma gli ingredienti citati sembrano oggi, ai nostri occhi, un vero campionario di clamorosi errori visto che si raccomanda l’uso di pancetta, gruviera e aglio (!), oltre a uova e spaghetti.
Nel 1955, finalmente, la pasta alla Carbonara entra per la prima volta in un vero ricettario italiano, curato da Felix Dessì e intitolato “La signora in cucina”: scompaiono aglio e gruviera, appaiono il pepe e il parmigiano (ma l’autore suggerisce anche l’uso del pecorino per chi desidera un sapore più “piccante”), rimane la pancetta. Per la consacrazione a livello nazionale bisogna però attendere il 1960, quando la carbonara appare nel ricettario “La Grande Cucina” del celebre Luigi Carnacina: finalmente appare il guanciale in sostituzione della pancetta, ma compare anche un ingrediente come la panna, che oggi crea scandalo al solo pensiero.
Il resto è storia: nei successivi 30 anni la ricetta continua a raffinarsi e molti ingredienti come la panna e il parmigiano, ma anche la cipolla e il prezzemolo comparsi in altri ricettari negli anni ’70 e ’80, scompaiono a favore della definitiva affermazione della classica triade composta da uovo, guanciale e pecorino (con la possibilità, seppur non gradita agli integralisti della ricetta , di mescolare un po’ di parmigiano al pecorino romano per mitigarne il sapore deciso). Queste, in conclusione, sono le storie che hanno accompagnato la nascita e l’evoluzione della nostra amata Carbonara. Che, come si diceva in apertura, è sicuramente un piatto dalla genesi incerta e che suscita spesso dibattiti, ma solo quando non si è a tavola.

Quanto costa un personal chef?

Un personal chef è un piccolo lusso, non ci piove.

Ma è anche un’esperienza unica e modellata esclusivamente su di te e per te. Nessun’altra soluzione, nel campo della ristorazione, può offrirti qualcosa di simile.

Leggi quanto segue, sono sicuro che ti sarà tutto più chiaro!

La questione, vista in quest’ottica, merita un approfondimento non scontato. Perché un personal chef, che non ha un ristorante e viene a casa tua sfruttando gas, luce, padelle e affitto, ti costa più di un ristorante?

La risposta è più semplice di quanto si creda e non c’è bisogno di inneggiare a materie prime d’eccellenza o millantando abilità da chef stellato. Bastano due semplici parole: tempo e disponibilità.

Appena mi indichi la data in cui tu vuoi organizzare la tua cena romantica o il tuo pranzo con amici, io so per certo una cosa: che quel giorno potrò lavorare solo e soltanto per te. Non ho il dono dell’ubiquità, non posso sdoppiarmi e andare a cucinare in un’altra casa. Tu sarai il mio unico cliente. Disponibilità, appunto. Io, per quella sera, sono soltanto tuo. Un ristorante, in qualsiasi giorno in cui è aperto, ha un numero di coperti magari variabile, ma di certo non lavorerà per un solo tavolo, due e neppure dieci.

Il ristorante, inoltre, vive di continuità. Lo chef decide un menù (che cambierà con la cadenza che sentirà necessaria) e a questo si attiene ogni giorno che dio manda in terra. Quando ti rechi in un  locale, ti sarà presentata una carta con una lista di piatti tra cui scegliere, ma senza ulteriori alternative. La cucina è in questo modo sempre preparata a qualsiasi tua comanda, certo, ma proprio perché non puoi uscire da ciò che vedi nell’elenco. Per spiegarla ancor meglio, se ti rechi in un ristorante normale, non puoi chiedere, di punto in bianco, un intero menù vegan, soltanto perché tu o il tuo partner avete deciso di diventarlo. Il povero vegan della coppia o del gruppo di commensali si beccherà l’immortale pasta al pomodoro e qualche contorno di verdura, perché la cucina non è in grado di far fronte a richieste estemporanee. Ed è anche giusto che funzioni così, dopo tutto, se no i poveri cuochi nei ristoranti impazzirebbero. 

La pianificazione, il fatto che la ristorazione di qualsiasi locale è un’attività a tempo pieno e quindi ottimizzata, il numero di coperti che di certo non si riduce a poche persone, i limiti naturali che un menù fisso impone, sono tutti i punti in cui un ristorante può risparmiare. I medesimi punti sono tutti quelli in cui un personal chef non riesce a risparmiare. La disponibilità implicita nell’offerta del cuoco a domicilio (totale disponibilità nei tuoi confronti) lo penalizza nel risparmio.

E poi il tempo. Mentre la cucina di un ristorante lavora sul medio periodo, avendo un menù fisso ben impostato, un personal chef lavora sulla tua comanda, perché non ha altri clienti. Fa la spesa, cucina le cose che può preparare per tempo, viene a casa tua, si arrangia nella tua cucina, pulisce tutto prima di andarsene. Come minimo, insomma, lavora per te e solo per te un’intera giornata. Se le persone sono di più, non è raro lavorare anche due o tre giorni in esclusiva per te e per i tuoi ospiti.

A tempo e disponibilità, caratteristiche che accomunano tutti gli chef a domicilio, aggiungo di mio qualcosa che gli altri non ti danno: la libertà. La libertà di poter fare ciò che vuoi, chiedere ciò che vuoi, di costruire il menù secondo i tuoi desideri. Perché io, si sa, cucino di te: progetto con te il menù che preferisci in assoluto, quello che più si avvicina ai tuoi desideri.

Se un giorno ti svegli con l’idea di provare il filetto alla Wellington che vedi in tivù, fatto da un saltellante Gordon Ramsay, puoi chiedermelo. È capitato. Puoi chiedermi quel piatto che ti era piaciuto tanto quando eri andato all’estero e di cui porti un ricordo indelebile. Anche questo è capitato, perché se affermi di offrire al cliente la totale libertà, alla fine gliela devi concedere davvero.

Prova a chiedere la medesima disponibilità a un qualsiasi ristorante che non abbia quel piatto in menù o a un altro personal chef, e poi mi fai sapere!

Anche la libertà ha un costo, perché non posso pianificare nulla. Senza menù fissi, non posso fare scorte, non posso conservare semilavorati, non posso fare nulla. Sono sempre senza rete.

Ma quanto ti costo, alla fine?

I prezzi dipendo da quello che vuoi e da come lo vuoi, comunque un idea te la farai continuando a leggere…..

Te la riassumo.

Per una coppia di persone, la cena o il pranzo vanno da un minimo di 90 euro a testa a un massimo che deciderai tu: se vuoi pasteggiare a Champagne, caviale e gamberi rossi, pagherai di più per queste materie prime costose.

Ma proseguiamo. Parlo, naturalmente, sempre di un menù classico, composto da antipasto, primo piatto, secondo piatto e dessert.

Per 2 persone il costo non puo’ essere inferiore ai 200 euro

Da 3 a 4 persone il prezzo a testa si aggira  sui 70 euro.

Dai 5 ai 10 arriviamo minimo   a 50/60 euro a testa.

Dai 10 ai 15 invitati  minimo 45 euro a testa

Oltre le 12 persone35-50 euro e scendere man mano aumentano le persone molto dipende davvero dal menù che sceglieremo. Restando sempre nella forma classica della cena (antipasto, primo, ecc. ecc.).

Alla fine del discorso, è opportuno riassumere con una sottolineatura. A causa del tempo, della dedizione e della libertà che concede solo a te, un personal chef costa di più quando le persone sono poche, mentre diventa sempre più conveniente quando le persone sono tante. Ma se mi hai seguito fin qui, hai finalmente anche compreso perché…………………

 

Delizia al Limone interamente artigianale

Se c’è un dolce in particolare che evoca le belle giornate, le passeggiate al mare e profumi di fiori che sbocciano è proprio la delizia al limone! Con l’inizio della primavera le mie passeggiate in Costiera Sorrentina si moltiplicano e con esse anche le mangiate di questi meravigliosi dolcetti tipici di questo luogo così incantevole. Avete mai assaggiato le delizie al limone? E’ un’esperienza sensoriale magnifica, ne mangerei due, tre consecutive senza mai stancarmi! Furono ideate per la prima volta dall’estro creativo di un pasticcere della Costiera Sorrentina, Carmine Marzuillo nel 1978, immancabili in ogni pasticceria della Campania. Sono delle cupolette di pan di spagna con bagna al limoncello e tanta crema diplomatica aromatizzata al limone, un vero connubio di sapori e profumi da far innamorare chiunque le assaggia per la prima volta. Dopo alcuni esperimenti sono arrivata finalmente alla mia ricetta definitiva quella che incontra i miei gusti personali, sono delicate e cremose e aromatizzate al punto giusto. Prepararle non è poi così difficile, se vi dividete le preparazioni in più step risulterà ancora più semplice. Un dolce perfetto per stupire i vostri ospiti in occasioni speciali, compleanni e ricorrenze, ottimo come dolcetto della domenica servito a fine pasto. Vi consiglio di provarle quanto prima… ne vale la pena

Delizie al limone

Ingredienti pan di spagna (5-6 delizie delizie al limone)

  • 160-180 g di farina 00 ( oppure 100 g di farina e 60 di fecola)
  • 6 uova medie (rigorosamente a temperatura ambiente)
  • 160 g di zucchero semolato

N.b Nel vero pan di spagna non si aggiunge il lievito per dolci ma se vi sentite insicuri aggiungete 1 cucchiaino raso di lievito per dolci setacciato insieme alle farine.

Ingredienti per la crema al limone

  • 2 uova
  • 60 grammi di burro
  • 100 gr di zucchero semolato
  • 2 limoni non trattati (sia il succo che la buccia)
  • 1 cucchiaino di amido di mais

Ingredienti per la crema pasticcera al limone

  • 500 ml di latte intero
  • 120 g di zucchero semolato
  • 50 g di farina 00 o 45 g di amido di mais
  • 4 tuorli
  • buccia grattugiata di un limone

Ingredienti per la bagna al limoncello

  • 120 ml di acqua
  • 50 ml di limoncello
  • 1 cucchiaio di zucchero
  • buccia di un limone (facoltativa)

Procedimento per il pan di spagna

  1. Preriscaldate il forno in modalità statica a 180°.
  2. Montare le uova, lo zucchero ed il pizzico di sale con una planetaria oppure con delle fruste elettriche a velocità media per almeno venti minuti, dovrete ottenere un composto chiaro e spumoso, triplicato di volume.
  3. Aggiungete la farina 00 e la fecola di patate setacciate ( ed il lievito) in più riprese
    ed incorporatele con una spatola delicatamente dal basso verso l’alto.
  4. Versate il composto ottenuto negli stampini sferici in silicone, stampini per delizie o in ultimo caso in pirottini di alluminio ben imburrati se non riuscite a reperirli.
  5. Cuocete in forno statico a 170°-180° per circa 15 minuti.
  6. Fate raffreddare completamente ed estraeteli dagli stampini.
  7. Nel frattempo preparate la crema al limone.

Procedimento crema al limone

Grattugiate la buccia dei due limoni e filtratene il succo. Fondete il burro a bagnomaria, unite il succo e la buccia dei limoni, lo zucchero, il cucchiaino di amido di mais e le due uova intere. La cottura deve avvenire a fiamma dolcissima, mescolando continuamente con una frusta. Cuocere fino a quando la crema non si addensa. Se dovessero formarsi dei grumi, passate la crema in un mixer. Mettete da parte e fate raffreddare.

Procedimento per la crema pasticcera al limone

La crema al limone è molto versatile, dal sapore fresco e delicato. Se siete amanti dei dolci al limone è utile in numerose preparazioni di torte, crostate, biscotti e dessert al cucchiaio. Questa crema la preparo da sempre e la uso spesso non è altro che la versione della mia crema pasticcera aromatizzata ovviamente al limone. Potete regolare la quantità di limone in base ai vostri gusti personali, provatela perchè è una vera delizia!

Crema al limone 

Ingredienti

  • 500 ml di latte intero
  • 160 gr di zucchero
  • 50 gr di  farina 00 o amido di mais
  • 4 tuorli
  • buccia 3 limoni non trattati (a secondo dei gusti personali)

Procedimento

  1. In una ciotola sbattete con una frusta elettrica oppure a mano i tuorli con lo zucchero ottenendo così una composto leggermente spumoso. Aggiungete la farina e mescolate.
  2. In un pentolino a parte portate ad ebollizione il latte insieme alle bucce di limone quando sfiorerà il bollore allontanatelo dal fuoco.
  3. Eliminate le bucce e versate metà del latte caldo sul composto di uova, zucchero e farina.
  4. Trasferite il tutto di nuovo nel pentolino e portate ad ebollizione aggiungendo il restante latte, mescolate per bene  per evitare grumi con una frusta a mano.
  5. La crema dovrà addensarsi.
  6. In questo modo otterrete una delicata crema al limone. Se preferite un gusto ancora più deciso ed intenso aggiungete anche un po’ di buccia grattugiata di limone finemente in ultimo, facendo attenzione a non grattugiare la parte bianca.
  7. Fate raffreddare e coprite con pellicola trasparente.
  8. Conservate la crema al limone in frigorifero fino ad utilizzo, per massimo due giorni.

Procedimento per la bagna al limoncello

In un pentolino portate a bollore l’acqua insieme alla buccia di limone e al cucchiaio di zucchero. Spegnete ed aggiungete il limoncello. Fate raffreddare completamente e passate con un colino se avete aggiunto anche la buccia di limone.

Composizione delle delizie al limone

Unite le due creme: crema al limone + crema pasticcera al limone. Se notate dei grumi passate la crema al mixer. Aggiungete 200 di panna montata ed incorporatela delicatamente alle due creme con una spatola. La panna avanzata (circa 50 g) servirà per la copertura. Adesso bisognerà farcire ogni delizia al limone.

Le alternative sono due :

1) Con l’aiuto di una sac à a poche riempite dalla base le delizie al limone con la crema diplomatica.

2) Scavate con un coltello il centro alla base di ogni delizia al limone, scavate con cucchiaino creando spazio per la farcitura. La parte rimanente servirà per chiudere la sfera di pan di spagna quindi mettete da parte. Bagnate con un pennellino l’interno ed i bordi della sfera ed aggiungete la crema diplomatica al limone. Richiudete con il pan di spagna messo da parte e procedete in questo modo per tutte le delizie.

Appena farcite tutte le delizie al limone, bagnate anche tutta la loro superficie con la bagna al limoncello rimanente.

Appoggiate le delizie al limone su di una gratella in modo da poterle ricoprire per bene e raccogliere la crema rimanente. Per la crema di copertura aggiungere alla crema diplomatica rimanente la panna montata rimanente, dovrete ottenere una crema fluida non troppo soda in modo da farla scivolare e ricoprire per bene ogni delizia al limone. Se necessario aggiungere 2-3 cucchiai di latte o panna per renderla più fluida. Regolatevi man mano per ottenere una consistenza perfetta. Ricoprite ogni delizia al limone facendo colare per bene la crema e fate riposare in frigorifero per circa 1-2 ore. Più riposano e più sono buone.

Prima di servirle ricoprite con ciuffetti di panna la base e servite le vostre delizie al limone… sentirete che bontà! 😉

Ostriche. Quali sono le migliori? Francesi, irlandesi o italiane?

Ora, accontata la statistica, possiamo anche metterla da parte e concentrarci su questa prelibatezza che comunque non è una prelibatezza per tutti. Bisogna saperla apprezzare e conoscere.

Le ostriche hanno due valve diverse, con l’inferiore, alla quale è attaccato l’animale, più grande e incastonata nella superiore. Non devono essere confuse con altre varietà, presenti soprattutto nelle acque orientali, che producono perle. Quelle che troviamo nei mercati e in pescheria sono della varietà piatta e di quella concava e provengono dai principali allevamenti europei. La varietà più apprezzata in cucina è la Bèlon, un’ostrica piatta, dalla forma rotonda, già conosciuta ai tempi dei Romani e amata per il suo gusto morbido e poco salmastro.

Non basta aprirle e mangiarle

Le ostriche vanno “affinate” per qualche giorno prima di essere consumate. Non è il vero affinamento, quello avviene in acqua: ma ricordiamoci che sono vive, dopo il trasporto arrivano stressate e vanno lasciate a riposo per un giorno intero nella loro confezione, a una temperatura compresa tra 2 e 8 °C. Poi le togliamo dalle cassette e le disponiamo con la parte concava del guscio rivolta verso il basso, sempre tenendole al freddo. Trattate in questo modo le ostriche non solo possono essere conservata 8-10 giorni, ma addirittura migliorano, diventano più morbide, meno aggressive. Prima di essere servite vanno aperte, si elimina l’acqua e si lasciano un minuto sul ghiaccio, il tempo necessario affinché l’ostrica formi nuovamente del liquido: questo significa che è viva, quindi fresca. Mai mangiare un’ostrica asciutta che, se lasciata riposare, non produce altra acqua.

Ecco un decalogo suggerito da Vanity Fair:

  1. Il periodo migliore per mangiarle: nei mesi freddi, da settembre ad aprile.
  2. Per capire se sono fresche valutate il loro peso: se conservano la loro acqua significa che sono vive. Quando non vanno mangiate: se il guscio è aperto, se hanno un cattivo odore, se non contengono acqua. Se le trovate a un buffet l’acqua potrebbe essere stata aggiunta: toglietela e aspettare un minuto affinché si riformi. Se lo fa significa che si è rigenerata.
  3. Come si aprono: con l’apposito coltellino, simile a quello del Parmigiano. La punta va appoggiata nell’insenatura che si trova a circa 2/3 della lunghezza del guscio, si fa pressione fino a che non si sente un clic: una leggera spinta verso l’alto separa le due conchiglie.
  4. Per migliorare il sapore: quando le aprite aspettate qualche minuto per lasciare che riacquistino gusto e croccantezza.
  5. Come mangiarle: l’ostrica va scalzata dal guscio, girata con la forchetta e sorbita senza appoggiare però il guscio esterno al labbro inferiore, per evitare il contatto con eventuali impurità.
  6. Come servirle: con salse di accompagnamento, ma ciascuna varietà ha caratteristiche diverse, a seconda del mare e della profondità a cui è cresciuta, quindi meglio degustarle al naturale.
  7. Si mette il limone? Questione dibattuta: meglio di no, perché alterarne il gusto? (Vedi sotto la differenza tra Italia e Francia)
  8. La grandezza giusta: le ostriche si misurano in calibri, da 5 a 0, dove lo 0 rappresenta la più grande. Le migliori e più pregiate sono la via di mezzo.
  9. Il prezzo: costano circa 20 euro al kg, che equivale a circa 10/2 ostriche di media grandezza, ma quelle più pregiate possono costare molto di più. Non acquistatele se costano meno di 2 euro.
  10. L’abbinamento: sono perfette se accompagnate da Champagne, spumante extra brut, vino bianco fermo e secco, talvolta anche con vini passiti. Sempre adatta, la vodka.

Le ostriche non si masticano, si ingoiano.
Differenze tra Italia e Francia.

Pepe e Limone
In Italia è il modo più gettonato. Portate in tavola il vostro vassoio di ostriche già aperte, un piattino con le fette di limone tagliate per la lunghezza e non per la larghezza (evitiamo l’effetto fettine da tè, per carità), un bella macina contenente un qualche pepe che valga la pena, mi verrebbe da dire Sichuan. Il rituale è semplice: prendere l’ostrica, spremere all’interno un pochino di limone, aggiungere un giro di pepe, spalancare le fauci e gustare, come sopra.

Alla francese.
Dei cugini francesi possiamo dir tutto, tranne che a tavola non sappiano come godersela. Il metodo è il mio preferito: sminuzzate uno scalogno e fatelo marinare nell’aceto di vino bianco. Bruscate qualche fetta di pane e ricopritela con abbondante burro non salato di qualità. Quindi: prendete l’ostrica, conditela con un pochino di scalogno marinato in aceto e aggiungete un sospetto di pepe. Dopo aver gustato e ingoiato, azzannate un pezzo di pane e burro. Champagne a volontà.

Alla Napoleone.
Napoleone, quando non si trovava in battaglia, usava riempire un vassoio con ghiaccio tritato sul quale sistemava alcune foglie di lattuga. Su di esse, disponeva le ostriche aperte. Intanto emulsionava sale, pepe, Cognac e succo di limone e vi aggiungeva persino un goccio d’olio. Condiva i molluschi con la salsina e serviva direttamente in tavola. Potete provare.

Mangia e bevi.
La morte sua, lo sappiamo, è il Muscadet, vino bianco della Loira sufficientemente acidulo, sapido e fresco. Lo champagne va bene sempre, ma il vero RITUAL, ossia l’azione di mangiare e ingoiare repentinamente con alcolico a seguire, si realizza con la vodka.

Cacio e pepe

Cacio e pepe e la sua cremosità, unite alla pasta mancini. Il segreto oltre alla qualità della pasta, e’ non cuocere il pecorino ma farlo sciogliere a freddo…

Chef a domicilio

 

Perchè il cuoco a casa Tua?

Perché ti puoi godere il momento conviviale con i tuoi invitati a Tavola!

Perché puoi associare una Cucina Speciale all’intimità di casa tua!

Perché potrai offrire un menù Speciale originale e introvabile!

Perché i prodotti utilizzati sono ricercati, freschi